Sicurezza sul lavoro

L’obbligo di sicurezza ai tempi del COVID-19

In previsione dell’avvio della c.d. fase 2, gli interrogativi in materia di sicurezza sul lavoro diventano sempre più pressanti posto che, se da una parte appare necessario riprendere le attività produttive, dall’altra si impone la tutela della salute e dell’incolumità dei lavoratori.

In tal senso non appare in dubbio che l’obbligo di sicurezza gravante su tutti i datori di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., si estenda anche ai c.d. rischi esogeni, cioè a dire esterni e non specificamente ricollegabili all’ambiente di lavoro, come affermato dalla più recente giurisprudenza in materia di fatti dolosi o colposi di terzi (come ad esempio nel caso di rapina ai danni di istituto di credito).

Come noto, infatti, l’obbligo codicistico di sicurezza ha natura contrattuale, in quanto si inserisce nel sinallagma del rapporto, integrando, come fonte eteronoma, il contenuto del contratto di lavoro al punto da giustificare il rifiuto della prestazione lavorativa nell’ipotesi in cui detto obbligo non venga compiutamente assolto dal datore di lavoro, secondo il principio ad inadimplendi non est adimplendum.

Ne consegue che l’attuale emergenza sanitaria impone anche all’interno degli ambienti di lavoro l’adozione di tutte quelle misure preventive necessarie ad eliminare, e/o comunque ridurre al minimo, il rischio di contagio da COVID-19; e ciò a prescindere che tale rischio sia strettamente connesso alla natura dell’attività svolta.

Le fonti di produzione delle misure preventive si rinvengono principalmente nei vari D.P.C.M. che si sono susseguiti nel marzo 2020, con particolare riferimento al protocollo d’intesa del 14.03.2020 adottato dalle parti sociali, in ossequio all’art. 1 del D.P.C.M. del 09.03.2020, per prevenire e ridurre al minimo il rischio di contagio da COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Detta normativa si affianca al T.U.S. (D.lgs. n. 81/2008) che impone la valutazione preventiva dei rischi e la redazione del relativo documento (DVR) al fine di approntare le misure necessarie ad eliminarli o ridurli il più possibile.

Di qui il primo interrogativo, se le aziende siano onerate o meno ad aggiornare il predetto documento, posto che alcuni ne hanno negato l’obbligatorietà, stante la natura emergenziale e temporanea delle eventuali misure da adottare per il contenimento del contagio, e per non onerare ulteriormente le aziende in un momento di particolare difficoltà.

Sembra, però, preferibile abbracciare la tesi che ne impone l’aggiornamento, in quanto ciò costituirebbe un utile strumento per dimostrare in caso di ispezioni, ovvero in caso di propagazione del virus, l’adempimento dell’obbligo di sicurezza in capo all’impresa.

Un ulteriore interrogativo è rappresentato dalla legittimità rispetto all’art. 5 S.T. Lav. dei controlli sanitari preventivi e funzionali all’ammissione al lavoro, aventi ad oggetto non solo la misurazione della temperatura corporea, ma anche gli eventuali prelievi sierologici di cui si sta molto parlando in questi ultimi giorni per verificare, con un’apprezzabile grado di attendibilità, la positività al COVID-19 e/o la presenza di eventuali anticorpi per capire se il soggetto sia entrato in contatto con il virus; il tutto per privilegiare tempi molto veloci rispetto al tradizionale tampone che, difficilmente, potrebbe essere effettuato per consentire l’ingresso al lavoro.

Anche in questo caso c’è chi auspica una espressa modifica dell’art. 5 Legge n. 300/70 citato, in quanto la normativa d’urgenza non potrebbe per sua natura costituire una deroga, sia pure temporanea, al divieto del datore di lavoro di controllare direttamente, o tramite propri ausiliari, lo stato di salute dei dipendenti.

Invero, sembra preferibile ritenere che, la situazione di emergenza – peraltro decretata dal C.d.M. fino al 31.07.2020 – come ha già legittimato l’ampia limitazione di molte garanzie costituzionali, mediante la predisposizione delle misure di distanziamento sociale, per privilegiare il diritto alla salute ex art. 32 Cost., altrettanto possa fare, legittimando la previsione di tutele e misure precauzionali derogatorie dell’art. 5 Legge n. 300/70, in quanto funzionali all’applicazione del suddetto diritto alla salute di rango costituzionale.

Infine, ci si domanda, trattandosi di un rischio esogeno all’ambiente di lavoro (ove, ovviamente non si tratti di aziende ospedaliere, ambulatori, ecc.), qualora un lavoratore dovesse denunciare l’infezione da COVID-19, come possa il datore di lavoro esserne ritenuto responsabile ai fini risarcitori, considerando, per l’appunto, che, essendo il virus presente anche e soprattutto nell’ambiente esterno al contesto lavorativo, l’infezione non sia stata determinata e/o causata da contatti esterni ed estranei alla compagine aziendare.

Di conseguenza, appare ragionevole ritenere che il rischio maggiore cui il datore possa andare in contro in caso di omessa o incompleta predisposizione delle misure volte a prevenire o limitare il contagio da COVID-19, sia quello di incorrere nelle sanzioni amministrative previste dalla decretazione d’urgenza (vedi in particolare D.L. n. 19/20 e ss.), nonché nelle eventuali sanzioni penali a fronte della configurazione delle relative fattispecie di reato, come pure quello di vedersi destinatario di un’eccezione di inadempimento da parte del dipendente, al punto da legittimarne anche la sospensione della prestazione lavorativa.

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