Caso licenziamento collettivo

Trib. Civitavecchia, 23 febbraio 2018, n. 95 (sent.), Est. Abrusci

Licenziamento Collettivo – Delimitazione dell’area di scelta – Onere della prova – Grava sul datore di lavoro – Mancato assolvimento – Vizio procedurale in fase applicativa – Sussistenza – Illegittimità del licenziamento – Tutela risarcitoria ex art. 18, co. 7, 3^periodo – Applicabilità

Nel licenziamento collettivo, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare la legittimità della delimitazione dell’area di scelta operata in fase di applicazione dei criteri di scelta, con riferimento alla posizione del singolo lavoratore licenziato, determinandone, il mancato assolvimento, un vizio procedurale, cui conseguente il diritto del lavoratore, sulla scorta dell’art. 5, co. 3, l. 223/91, secondo periodo, alla tutela prevista dal terzo periodo, del settimo comma dell’art. 18 St. Lav. (che rinvia al quinto comma del medesimo articolo).

Licenziamento Collettivo – Delimitazione dell’area di scelta – Violazione procedurale – Sussistenza – Violazione dei criteri di scelta – Esclusione – Onere della prova – Grava sul prestatore di lavoro – Mancato assolvimento

Nel licenziamento collettivo, il riscontrato vizio nella delimitazione dell’area di scelta dei lavoratori da licenziare costituisce una violazione meramente procedurale e non una “violazione dei criteri di scelta”, determinandosi tale seconda – e più grave – eventualità – solo qualora venga accertato, con onere probatorio gravante sul prestatore,  che una corretta applicazione dei criteri avrebbe concretamente modificato l’esito del procedimento di selezione, conducendo al licenziamento di un lavoratore al posto di un altro.

Il fatto: Con ricorso ritualmente depositato la Società proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 1, comma 51, l. n. 92/2012, avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Civitavecchia aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dal lavoratore, per impugnare il licenziamento comminatogli all’esito di una lunga e complessa procedura di licenziamento collettivo, dichiarando risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti alla data del licenziamento e condannando la società al pagamento in favore del lavoratore di una indennità risarcitoria. La società ricorrente chiedeva al Tribunale di riformare l’ordinanza opposta, dichiarando la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore; in subordine, chiedeva che l’indennità omnicomprensiva fosse limitata alla misura minima. In via ulteriormente subordinata, domandava l’accertamento del diritto a procedere alla risoluzione del rapporto di un altro lavoratore, senza dover esperire una nuova procedura; con vittoria di spese di entrambe le fasi di giudizio. Si costituiva ritualmente il lavoratore, il quale contestava in toto le avverse pretese e ne chiedeva il rigetto, riproponendo tutte le domande contenute nel ricorso introduttivo della prima fase (ivi compresa quella di reintegra nel posto di lavoro, sia ai sensi dell’art. 18, commi 1 e/o 5, l. n. 300/70 non accolta dall’ordinanza opposta).

Il comento: La sentenza in esame, peraltro oggetto di reclamo in appello, pur conformandosi, quanto alla collocazione dell’ingiustificata delimitazione dell’area di scelta dei lavoratori da licenziare, nell’alveo dei vizi cd. procedurali (Cass. n. 25353 del 2009; Cass. n. 26376 del 2008; Cass. n. 6112/2014), gravando sul datore di lavoro la dimostrazione del fatto da cui discenderebbe la dedotta delimitazione, non appare condivisibile, ove, invece, ha ritenuto che il predetto vizio non costituisse anche un una violazione dei criteri di scelta. Nella specie, la posizione del lavoratore era stata ritenuta dall’azienda come non comparabile con quella degli altri colleghi, senza, però, che fosse fornita la prova della presunta infungibilità della posizione professionale di questi rispetto agli altri colleghi impiegati nello stesso settore. Invero, la mancata e (ingiustificata) comparazione, non può comportare alcuna prova di resistenza, in capo al lavoratore, consistente nel dimostrare il diverso esito del licenziamento, una volta correttamente ampliata la platea dei comparabili, posto che tale prova si rende necessaria solo allorquando il lavoratore licenziato debba articolare ulteriori conclusioni circa i propri titoli prioritari per la conservazione del rapporto: ciò non era necessario nel caso di specie, avendo la Società dedotto per ben due fasi di giudizio, la infungibilità della posizione lavorativa e quindi la non comparabilità con gli altri lavoratori (cfr. C. App. di Roma, 01.06.2016).

 

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